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Il falso valore della legalità

Scritto da  Vincenzo Giarmoleo
Sono molti anni che, suppur nel limitato ambito amicale, invito alla riflessione sulla pericolosità dell'operazione che consiste nel porre in cima all'assiologia di riferimento dei nostri tempi la cosiddetta legalità. Mi è apparso, infatti, evidente come un concetto formale che nulla ha a che vedere con i più profondi concetti (e sentimenti: sottilineo questa parola) di giustizia, verità, bellezza e solidarietà sociale (moderna versione della fratellanza) non dovesse e non potesse assurgere a idolo contemporaneo per il solo fatto d'esser letto sulle labbra di autorevoli esponenti della nostra classe dirigente e d'una parte consistente degli intellettuali.
Ciò mi ha indotto a riflettere sulla ragione per la quale una parola così pericolosamente formale e neutra (seppur sinonimo di norma positiva, come Kelsen direbbe) possa -  in una società complessa e articolata come la nostra e così fortemente soggetta al pensiero e alla revisione critica anche grazie alle più libere - almeno in apparenza - e massive reti di comunicazione - sostituirsi e usurpare il ruolo dei tradizionali "indicatori di polarità positiva", i quali, seppur nell'astrattezza dei concetti (di vero, bello, giusto; o quantomeno, nell'accezione più comunemente percepita del contrario della non - giustizia , del contrario del non-bello, o del contrario del non-vero) sono dotati di sufficiente universalità per esser da tutti indicati come "fari" della vita della comunità e della coscienza sociale. 
Naturalmente non ho una risposta finale, ma temo che in questa mistficazione abbia assunto un ruolo decisivo la distorta percezione del sé, o meglio dell'immagine del sé, nel  modus vivendi della nostra società organizzata. Gli attori che orientano e determinano il mercato mondiale e la globalizzazione, oggi privi di contenimento e di orientamento politico (non esistendo più simmetria tra potere economico finanziario e potere politico, come bene ha detto Z. Bauman) spingono, per puro utilitarismo, verso la promozione di una nuova e diversa scala di valori, i cui gradini sono concetti del tutto privi di materiale fondamento, di corporeità e quindi di necessità.
Non vi è dubbio, infatti, che le nostre prime necessità di uomini e donne siano ampiamente soddisfatte e che per poter sostenere la crescita ed espandere i mercati i grandi operatori economici (aziende e grandi istituti finanziari privati) strutturano le campagne di vendita e il loro marketing  - è il potere mutante della parola che genera la trasmissione del comando, diceva Confucio - mediante creazione di molteplici "immagini del sè", tante quanti sono i prodotti e i servizi da immettere nel mercato.
Tale frammentazione del sè - o moltiplicazione delle immagini di sè -, una volta assorbita dal consumatore/cittadino tende a divenire modello cui aspirare, con effetto demolitorio delle assiologie di riferimento delle nostre comunità, in mancanza di  credibili strutture (scuola, chiese, associazionismo, istituzioni ...) che dette comunità nutrano di "vero, bello e giusto" e che per effetto osmotico, dalla comunità stessa siano nutrite. 
Mi fermerei qui, perchè poi il discorso si inclinerebbe verso la necessità di indicare soluzioni, terapie e interventi che, in mancanza d'una diffusa condivisione, non hanno, con tutta evidenza, alcuna possibilità di riuscita.
Ultima modifica Mercoledì 16 Settembre 2015 16:10
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